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lunedì 22 febbraio 2016

A tu per tu con...Paolo Strano di Vale la Pena

Secondo appuntamento di febbraio con la rubrica "A tu per tu con...".
Oggi voglio parlarvi di una storia di solidarietà unita alla buona birra artigianale.

Il progetto Vale la Pena nasce nel 2014 ad opera della Onlus Semi (di) Libertà, con il cofinanziamento del Ministero dell'Università e della Ricerca e il Ministero della Giustizia, ed ha come mission quella di avviare alcuni detenuti del carcere romano di Rebibbia all'inclusione sociale al fine di contrastarne le recidive.
I detenuti ammessi al lavoro esterno che prendono parte a questo progetto, utilizzano, assieme agli studenti, un impianto situato nei locali dell'Istituto Tecnico Agrario "Emilio Sereni" di Roma.
Alcuni fra i maggiori birrai italiani hanno voluto dare il proprio apporto al progetto, collaborando con i detenuti al fine di creare birre di grande qualità.
Le birre prodotte sono ben dodici e riprendono altrettanti stili. I nomi delle birre sono chiaramente in tema con il progetto; esistono quindi ad esempio, l'american pale ale "Fai er Bravo" fatta con Orazio Laudi del birrificio Turan, la golden ale "Er fine pena" realizzata con Marco Meneghin di Birra Stavio oppure la "Drago'n Cella" brassata in collaborazione con Luigi Schigi D'Amelio di Extraomnes.


La scorsa settimana questo progetto ha ricevuto un importante riconoscimento a livello europeo nell'ambito del contest Transition. I vertici comunitari infatti hanno considerato Vale la Pena un esempio di buona pratica nonchè un format da esportare in altre realtà continentali.
Insomma, una delle poche volte in cui il nostro paese viene preso come modello dal resto della comunità europea.

Il fondatore di questo progetto, nonchè co-fondatore e presidente della onlus Semi (di) Libertà è Paolo Strano con il quale ho scambiato qualche chiacchiera.
Ecco cosa mi ha raccontato.


Ciao Paolo, benvenuto sul mio Diario! Innanzitutto complimenti per l’iniziativa lodevole che stai portando avanti. Parlaci un po’ di Vale La Pena. Da dove nasce l’idea, quali scopi si prefigge e come funziona questo progetto.
L’idea nasce durante un’esperienza professionale nel carcere romano di Regina Coeli, era il 2011 ed il sovraffollamento carcerario all’apice, abbiamo riscontrato
delle condizioni detentive davvero inumane, ed un trattamento che oggettivamente non facilita la riabilitazione del reo, pertanto abbiamo deciso di intervenire fornendo loro una possibilità di inclusione, una volta scontata la pena. Le percentuali ci danno ragione, le recidive tra chi non gode di misure alternative al carcere sfiorano il 70%, con dei costi sociali enormi, sia in termini economici che di sicurezza, mentre scendono al 2% tra chi è incluso in filiere produttive analoghe alla nostra.
Da subito Vale La Pena ha ricevuto la piena solidarietà collaborativa dei maggiori mastri birrai italiani. Quanto è stato importante la loro completa disponibilità per il vostro progetto?
E’ stata determinante, non solo perché ci ha permesso di uscire subito con un prodotto di qualità, essenziale per un progetto come il nostro che mira a sostenersi economicamente da solo, ma anche perché ha fatto molto parlare di noi, e la diffusione del nostro messaggio di inclusione è importante almeno quanto le cose che mettiamo in pratica.
Il gap fra la situazione carceraria italiana rispetto sia alle altre realtà europee (cito a titolo d’esempio i paesi scandinavi) sia ai dettami dell’Europa, è abbastanza elevato. La funzione risocializzante delle nostre carceri ha quindi bisogno di iniziative come quella di Vale La Pena. Il reinserimento sociale attualmente è spesso ancora utopico anche per forti resistenze da parte dell’esterno. Visto dal tuo punto di vista, gli italiani sono pronti a lavorare fianco a fianco con ex detenuti?
Fino ad un certo punto. I pregiudizi con cui ci confrontiamo sono molti, ma si sa che l’uomo ha paura soprattutto di ciò che non conosce, e l’informazione riguardo questo mondo è modesta, abbondano gli stereotipi, noi abbiamo constatato che le persone a cui offriamo questa possibilità, ovviamente dopo averne verificato la predisposizione a cambiare rotta, ci ripagano ampiamente degli sforzi profusi. Sappiamo di essere sulla strada giusta. E per far maggior chiarezza, ed informare adeguatamente sulle nostre potenzialità, stiamo mettendo a punto lo SROI (Social Return of Investment) del nostro progetto, ovvero quantificare quanti soldi facciamo risparmiare alla comunità col nostro lavoro, se i nostri detenuti non compiono più reati, in quanto lo reputiamo un buon modo per sensibilizzare le persone a queste problematiche. Se non tornano a delinquere e diventano contribuenti, tutti vivremmo in un luogo più civile, sicuro, e con maggiori risorse investibili altrove.
Parliamo un po’ delle birre. Ne sono ben dodici in poco più di un anno di vita di Vale La Pena! Nomi e grafiche delle etichette sono davvero molto divertenti! Sono ideate e realizzate da voi? 
La grafica si, è stata una scelta molto ponderata, e sembrerebbe azzeccata, perché come dicevo reputiamo la comunicazione dei nostri valori un elemento fondante della nostra attività. I nomi molte volte li scegliamo insieme ai clienti con dei contest sui social per aumentarne l’engagement, altre volte li abbiamo scelti noi perché riassumevano bene un messaggio preciso che volevamo mandare, ovviamente di legalità ed inclusione.
Quale delle dodici è la birra più amata da coloro che l’hanno realizzata?
Difficile dirlo, ognuna dietro ha una storia, e tanta passione. Se devo fare un solo nome, dico la “Sèntite Libbero” prodotta con Valter Loverier (LoverBeer). Durante la cotta, e la successiva maturazione, sembrava un padre in sala travaglio. E questo non solo per l’enorme passione che mette in tutto ciò che fa, ad iniziare dalle sue birre, che infatti sono delle eccellenze assolute, ma anche perché apprezza e sposa integralmente i valori del nostro progetto, ed infatti è nato un rapporto che va ben al di là della mera collaborazione. Oltretutto è una birra-progetto, realizzata con materie prime assolutamente inusuali, cicorie spontanee raccolte dalla condotta Slow Food “Raffaele Marchetti”, e con richiami alle tecniche con cui si facevano le birre contadine prima dell’avvento del luppolo, relativamente recente nella millenaria storia della birra. Insomma Valter si è Sentito Libbero di realizzare una birra davvero straordinaria.
Visto che parlando mi è venuta sete ti chiedo: dove possiamo trovare queste meraviglie liquide di solidarietà?
Ormai sono diffuse in molte regioni italiane, pertanto consiglio di dare un’occhiata al nostro sito (www.valelapena.it) dove sono indicati i maggiori rivenditori, oppure scriverci a birravalelapena@gmail.com.
Ne Vale la Pena.
Bene. non resta che cercare queste birre al più presto allora!
Una grande storia di amore per la birra artigianale e solidarietà vero il prossimo, davvero un progetto di cui andarne fieri!
Complimenti a Paolo e a tutti i ragazzi che a vario titolo lo stanno portando avanti.
Un augurio ai detenuti di un pronto reinserimento sociale per  una nuova opportunità di una vita migliore.
Cheers!

(immagini tratte dal web/Facebook)

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